Il Segreto del Velo
di Piero Priorini
(articolo estratto dal nuovo libro “AfricAzonzo” in via di pubblicazione)
Devo fare una premessa fondamentale: non ho mai sopportato che un qualsiasi uomo, moderno occidentale, si permetta di emettere giudizi superficiali e sentenze gratuite su tradizioni e comportamenti di culture “Altre” e diverse dalla propria. Sono radicalmente convinto che ogni cultura possa essere compresa solo usando i parametri e i valori propri di quella stessa cultura, e i libri che scrivo sono una testimonianza di quanto io sia lontano dal considerare la civiltà alla quale appartengo la più evoluta, la “migliore possibile” e, dunque, quella dall’alto della quale sputare sentenze. Orribili mali dell’anima deturpano la società moderna occidentale, ma questo non dovrebbe esonerare nessuno, munito di oneste intenzioni, di studiare i mali degli altri.
Scrivo tutto questo perché la frase con cui avanzo dei dubbi sull’equilibrio mentale di molti maomettani potrebbe sembrare quanto meno una mia paradossale incoerenza, se non addirittura un giudizio superficiale, inopportuno e incompetente, fondato su una sorta di gratuita antipatia per certi costumi propri dell’Islam. Ma non è così. Quando, molti anni fa – prima nel Bangladesh, poi in Egitto - mi accorsi delle assurde reazioni di concupiscenza che molti uomini esprimevano nei confronti della più piccola e insignificante provocazione femminile, seguite subito dopo da fastidio, intolleranza ed estrema violenza, compresi che, se volevo davvero capire di cosa si trattasse, dovevo immergermi spregiudicatamente nello studio della loro cultura e della loro religione. La frequentazione assidua di paesi di religione islamica, l’attenzione e il fascino discreto che avevo sempre provato verso molti dei loro costumi, facilitarono la mia determinazione: per tre anni dedicai tutti i miei sforzi allo studio particolareggiato dell’Islam. Mi sforzai di entrarvi dentro, di lasciarmene assorbire acriticamente, rimandando a poi il vaglio della ragione. Non posso sapere fin quanto in là mi sia spinto, ma certo non ho lesinato energie; e se oggi dico ciò che dico, non è certo per superficialità o ignoranza, bensì per modesto convincimento. Con un’unica pregiudiziale: ho sempre fatto lo psicoterapeuta, ho una formazione clinica, ed è perciò possibile che una sorta di distorsione professionale infici la mia visione del mondo e della vita. Ne chiedo venia.
Ciò detto: quando iniziai a studiare l’Islam, visto che davvero volevo capire come stavano le cose, iniziai dal principio. Con la vita del profeta Abu al-Qasim Muhammad e la sua Rivelazione. E, subito, rimasi sorpreso e affascinato! Perché Maometto, fino ai suoi 40 anni, epoca della Rivelazione, aveva vissuto una vita semplice, come pastore di dromedari, prima, e come commerciante-carovaniere poi, compensando in un qualche modo il fatto di essere del tutto analfabeta. Da tutti coloro che lo conoscevano era soprannominato al-Amin “l’onesto”, non solo per la correttezza dei suoi scambi commerciali ma, anche, per la moralità con cui conduceva la propria vita. Di costumi riservati e morigerati, era solito infatti dedicare molto tempo della sua giornata alla preghiera e alla meditazione. E fu proprio durante uno di suoi frequenti ritiri sul monte Haira che, inaspettatamente, l’Arcangelo Gabriele si rivelò alla sua anima dettandogli le prime Sura di quella raccolta che sarebbe poi divenuta il Corano. La cosa però davvero straordinaria fu che un pastore, del tutto incapace di leggere e scrivere, iniziò a recitare versi di una bellezza impareggiabile. Versi che ancora oggi possono essere considerati una delle più alte espressioni poetiche che l’uomo abbai mai prodotto. L’Arcangelo rivelava. Maometto ricordava, grazie alla prodigiosa memoria per la quale gli arabi sono sempre stati famosi, e recitava poi a quanti volessero ascoltarlo. Più tardi, solo molto più tardi, man mano che la nuova religione si andò affermando, qualcuno più erudito e di buona volontà, si assunse l’onere di trascrivere i suoni melodiosi e celestiali di cui Maometto si era fatto portavoce. Così raccolte, in un ordine non corrispondente alla cronologia con la quale furono rivelate, bensì solo alla loro lunghezza decrescente, le Sura divennero Il Corano: che non era però inteso come un libro qualsiasi che contenesse la Parola di Dio, né come una qualche Sua occulta manifestazione. Bensì come Dio Stesso. Per l’Islam, infatti, il Corano è il Verbo Increato di Dio(1), né più né meno di come, per i cattolici, l’ostia consacrata durante la messa sia il corpo di Cristo.
Ora, si potrà stare a discutere finché si vuole se i versi in questione siano o meno il corpo mistico di Dio. Resta però il fatto che una poetica sublime si sia manifestata in un uomo adulto, del tutto analfabeta, che mai e poi mai sarebbe stato in grado di articolarne la milionesima parte con forze autonome. La bellezza, la musicalità e l’armoniosa perfezione stilistica dei versetti coranici incantano l’orecchio, rapiscono lo spirito e rassicurano il cuore. Si potrà disquisire a lungo se il Corano sia stato un evento mistico, oppure magico, paranormale, psicopatologico o comunque incomprensibile; ma di certo non lo si può minimizzare né tanto meno ridurlo a fenomeno di scarso rilievo. Anche perché è proprio questa consustanziazione a determinare tutte le difficoltà di dialogo tra musulmani e non-musulmani. È sempre molto difficile, infatti, riuscire ad ottenere anche dai più spregiudicati dei suoi studiosi, una qualche forma di ermeneutica, sia essa storica, linguistica o psicologica, perché chi oserebbe sottoporre ad analisi critica il Verbo di Dio?
Per uno studioso imparziale, ma non condizionato dalla fede, le domande poste dall’esegesi del Corano sarebbero invero molteplici. Come ad esempio: data la complessità della lingua araba che, all’epoca, era appena all’esordio della sua strutturazione compiuta, quanti vocaboli potrebbero aver perso nella trascrizione il vero significato originale? Oppure ancora: l’epoca storica in cui le Sure furono rivelate quanto potrebbe aver influito sul significato profondo di alcuni vocaboli che oggi potrebbe invece essere inteso in maniera del tutto diversa? E per finire: ammesso – ma non concesso – il carattere di “strumento divino” assunto dall’anima di Maometto come profeta unico di Allah, si possono ignorare le trasformazioni e i mutamenti profondissimi intercorsi nella vita personale di quest’ultimo e non ritenerli invece, anche se solo in minima parte, responsabili di una certa qual inevitabile “distorsione soggettiva” ?
Mi rendo ovviamente conto che queste mie osservazioni potrebbero essere tacciate di blasfemia, eppure sarebbe di estremo interesse poterne discutere con spregiudicatezza e così forse dirimere tutta una serie di incomprensioni profonde che oggi impediscono il colloquio tra uomini appartenenti a fedi diverse. Soprattutto per quello che riguarda la così detta questione femminile.
Ha senso, oggi, nel terzo millennio, irrigidirsi su: “Dio ha creato la donna per servire l’uomo!” senza nemmeno chiedersi che cosa questo potrebbe aver voluto davvero significare? Ha senso non riconoscere come, tra le Sura accolte da Maometto durante il matrimonio con la prima moglie (una donna adulta, vedova, ricca e indipendente), e quelle successive, quando Khadigia era morta e lui, uomo di 60 anni, volle sposare Aisha, che all’epoca aveva 10 anni, si sia verificato un radicale cambiamento nelle imposizioni richieste alle fedeli?
Domande come queste sarebbero fondamentali per potersi orientare, oggi più che mai, tra paesi di religione islamica che, pur ottemperando ai codici coranici, rispettano la dignità sia dell’uomo che della donna, e paesi islamici in cui una arbitraria, distorta e abietta interpretazione alla lettera del Corano riduce le donne ad una condizione di vita sordida e subumana.
È uno scandalo intollerabile – scrive Ghaleb Bencheikh(2), in un accorato testo a difesa dell’Islam – il vile silenzio con il quale i dirigenti musulmani di tutto il mondo si rendono complici della tragica condizione della donna afgana. E sarebbe auspicabile – continua l’autore – che gli stessi Talebani venissero riconosciuti, oggi, per quello che realmente sono: dei psicopatici, frustrati e ossessivi.
Coraggiose parole le sue. Ma se ciò non avviene, mi permetto di credere, è perché un possente elemento maschilista, sessista e opportunista serpeggia nell’animo di molti dirigenti musulmani, anche in quello dei più tolleranti, moderni e illuminati. Perché come sostiene il prof. Abdelwahab Meddeb(3), un certo “bipolarismo clinico” sembrerebbe essere proprio dell’Islam come, d’altra parte, di tutte le rivelazioni monoteiste (e dunque patriarcali): in esse, dietro la mitezza, la pietà e la tolleranza, c’è sempre una parte guerriera, fanatica, violenta, temibile. La Santa Inquisizione – come Ombra del cattolicesimo – non è stato altro che un eccellente, scellerato esempio di tale doppia natura, e la sua fine solo un fenomeno storico. Dietro le quinte del tempo essa è ancora operante.
Eppure, fra le tre grandi religioni Patriarcali, l’Islam fu quella che, almeno alle origini, possedeva i migliori requisiti per stimolare e promuovere un’autentica maturazione spirituale dei suoi fedeli, uomini o donne che fossero. Innanzi tutto perché il Corano allude esplicitamente ad una androginia originaria che si sarebbe solo in seguito divisa generando due creature di sesso diverso, ma aventi pari dignità di fronte a Dio. Secondo, perché non si trova il minimo accenno alla responsabilità della donna nella cacciata dal paradiso che, semmai, viene invece interamente attribuita ad Adamo. Terzo perché, su questo sfondo, l’attrazione affettiva e sessuale – anziché essere colpevolizzata e demonizzata (come ha inteso fare il cattolicesimo) – veniva piuttosto considerata la via regia per sanare la ferita originaria e guarire gli esseri umani dal trauma derivato da questa innaturale divisione. Si potrebbe perciò sostenere che – almeno fra le tre grandi religioni patriarcali – l’Islam sia stato l’unico ad individuare il carattere metafisico della sessualità umana e a riconoscere lo strapotere esercitato in tal senso dall’essere femminile. Occorreranno secoli prima che l’occidente sfiori, con i suoi più illuminati rappresentanti (Balzac, Goethe, Novalis) tali occulte conoscenze.
Da fatto la sessualità, nell’Islam originario, assurgeva così ad atto di devozione, di superamento della coscienza ordinaria e di vera e propria esperienza mistica. Era intesa come un travalicamento del Sé ordinario in grado di far assaporare ai due amanti la quinta essenza della beatitudine divina(4). Perciò non dobbiamo stupirci se la società islamica dei primordi fosse una società edonistica che aveva in gran cura la sessualità e, dunque, per una sorta di necessità intrinseca, le arti della seduttività femminile. Se è lecito credere alla scrittrice Salwa Al-Neimi(5), la letteratura araba classica pullula di erotismo a cui l’arabo, come lingua parlata, permetterebbe la massima espressione. E la stessa Fatema Mernissi(6), nelle sue ricerche, riporta la vivacità delle antiche corti islamiche dove, in un tripudio di arti come la musica, la danza e la poesia, donne di carattere, fiere e parzialmente incontrollabili, giostravano da pari a pari con i loro nobili amanti.
Fu, quella, un epoca straordinaria durante la quale sensualità e ricerca interiore coincidevano. Un’epoca durante la quale lo stesso uso del velo era relativo: prima di tutto perché, contrariamente a quanto si crede, esso era già consueto in tutte le precedenti civiltà mediterranee (basta confrontare i reperti archeologici per accorgersi che già erano velate le nobildonne greche e persino quelle romane). In secondo luogo perché il suo uso era consequenziale a quella sottilissima sensibilità (oggi andata perduta) che permetteva agli uomini di un tempo di “percepire” il destarsi di una speciale energia, o “fluido” immateriale, anche al semplice accostarsi dei due sessi. Era sulla base di questa conoscenza occulta dell’Eros che veniva perciò vietata anche la semplice frequentazione a distanza dell’uomo e della donna: per evitare che “la forza” si destasse anche in assenza di quelle condizioni ottimali che avrebbero permesso la funzione di trascendimento dell’io ordinario. In un qualche modo si intuiva che il sesso poteva assurgere indifferentemente ad una funzione sacra o invece profana. In terzo e ultimo luogo, infine, perché l’uso del velo, lungi dalla rigidità pudibonda che ha assunto ai nostri giorni, spesso assumeva i connotati del gioco seduttivo: con la trasparenza che nasconde ma lascia intravedere; con le forme leggere e volatili, che ricoprono ma anche alludono; con la seta che limita lo sguardo, ma anche sottolinea ed amplifica ciò che resta visibile: lo splendore della fronte, la linea del naso, il bagliore fulgido dell’occhio. Quei tempi sono andati perduti, ma resta il fatto che se il velo, oggi, può ancora essere considerato il simbolo esteriorizzato della “promessa e della assunzione di fede” di una giovane musulmana, il burka rappresenta invece la sua perversione. Uno strumento di tortura aberrante, degenerato, che
solo il degrado dell’intelligenza, l’ignoranza e la stupidità hanno reso comune, perfino nei paesi più tolleranti come l’Egitto, il Marocco o la stessa Turchia.
“ La società islamica – scrive a tale proposito A. Meddeb(7)– è passata da una tradizione edonistica, fondata sull’amore per la vita, a una realtà pudibonda piena di odio verso la sensualità. La pruderie è diventata criterio di rispettabilità. [...] La città organizza i suoi scenari per privare il corpo dei suoi diritti […] Le strade, noiose nelle loro nuove costruzioni, irrispettose e negligenti rispetto alla favolosa memoria architettonica, diventano ancora più brutte quando sono attraversate da corpi balordi incuranti di sé; l’estetica venne meno quando fu abolita la seduzione nel rapporto tra i sessi. La cura della bellezza, come l’arte di metterla in valore, sono a loro volta scomparse.”
Se l’integralismo è la malattia dell’Islam – continua l’autore - la sua origine va rintracciata nel risentimento e nel fanatismo di tutti quei semiletterati che se ne sono fatti portavoce. Va ricercata nella fondazione del Wahhabismo, il movimento fondamentalista che, nell’attuale Arabia Saudita, ha realizzato un mostruoso connubio con l’americanizzazione dell’economia e della società.
L’analisi di Meddeb è puntuale ed esaustiva da un punto di vista sociologico. Ma, come ho già apertamente dichiarato, io posseggo una visione psicologica del mondo e della vita; perciò ho voluto di più. Ho cercato di capire attraverso quali dinamiche psicologiche questa grave perversione dello spirito maschile si sia potuta realizzare e scaricare poi sul femminile. Ho letto. Ho studiato. Ho raffrontato… e, alla fine, credo di essere riuscito a comprendere.
La costruzione dell’identità maschile e femminile nell’Islam poggia su due coppie di attributi:
Il Namus e il Qeirat per l’uomo – traducibili grosso modo come il Desiderio Sessuale e l’Onore.
Lo Hojb e l’Haya per la donna – traducibili, sempre grosso modo, come il Pudore e la Vergogna.
Il Namus, nell’uomo musulmano, rappresenta dunque la corrente del desiderio sessuale che come tale è si sacra ma, nello stesso tempo, impura. Perciò è un tabù (vedremo presto perché) represso nel profondo di ogni moderno musulmano. Esso simboleggia l’interno, perciò deve essere protetto, nascosto, e restare al riparo dagli sguardi di tutti gli altri uomini. Per garanti ha la madre, la sorella, la moglie, la figlia… in pratica il corpo femminile.
“Il velo è un riparo per il Namus – ci dice la scrittrice iraniana Chahdortt Djavann(8) - per l’onore dell’uomo musulmano, e crea in quest’ultimo una dipendenza psichica; perché l’essenza dell’identità dell’uomo musulmano si radica sotto il velo femminile.”Il Qeirat simboleggia invece lo zelo, la determinazione, la capacità dell’uomo musulmano di preservare il proprio onore sessuale che ha come oggetto il corpo femminile.
L’Hojb e l’Haya, il pudore e la vergogna della donna, oltre a fondare la sua propria identità, sono in sovrappiù i garanti dell’onore e dello zelo dell’uomo musulmano perché, come si è visto, la stessa identità maschile poggia su tali elementi.
Prego ora i miei lettori di seguirmi molto attentamente in un passaggio delicato.
Da un certo punto di vista possiamo considerare infatti straordinaria la percezione sottile con cui il pensiero orientale coglie il nesso metafisico tra il desiderio sessuale nell’uomo e l’immagine femminile. In occidente, una sorta di grossolanità psicologica individua nel maschio il portatore della sessualità e nella donna la portatrice della affettività. Ma le cose, almeno io credo, non stanno così. Nel senso che se anche è vero che nel corpo maschile giace una potenziale carica sessuale, essa si innesca nel preciso momento in cui l’immagine femminile l’attiva. È la donna, con la bellezza archetipale del suo corpo, con la grazia, il fascino e la morbidezza delle sue forme e dei suoi movimenti che accende la corrente del desiderio maschile. Più di quanto non accada al contrario. Confessiamolo: chi di noi, maschietti, alla vista di una bella donna non viene sempre sopraffatto da un languore doloroso, da un impulso esplosivo, da uno spasmo lancinante del desiderio che, magari anche solo per un breve istante, ci lascia come storditi e tramortiti? Chi di noi negherebbe che, se soltanto potessimo, faremmo l’amore, subito, con tutte le donne che, anche inconsapevolmente, accendono tale desiderio? In pratica quasi con tutte quelle che incontriamo? Solo che abbiamo educato tale impulso. Indipendentemente dal fatto di riconoscerne o meno la natura metafisica, abbiamo imparato a trattenerlo, rimandarlo, sublimarlo (direbbe Freud) e a liberarlo poi nel gioco, nel corteggiamento, nel rapporto d’amore occasionale o, meglio ancora, in quello amoroso e, dunque, significativo. Nonostante 2000 anni di repressione e terrorismo cattolico, si può dire che la maggior parte degli uomini occidentali abbia davvero educato e raffinato la propria pulsione avvicinandola alla sacralità dell’eros.
L’uomo musulmano, al contrario, pur avendo colto l’essenza ultima di questa dinamica, in un certo senso ci si è perso, rinchiudendosi nella rigidità della peggiore repressione.
Perché? Come è potuto accadere?
La descrizione della caduta in questa perversione collettiva è semplicissima e complessa nello stesso tempo perché, come si vedrà, si tratta di un fenomeno circolare del quale, come tale, sarebbe stolto mettersi a cercare un punto di inizio. Mi si voglia pertanto perdonare l’arbitrarietà della scelta e si immagini, una volta afferrato il quadro di insieme, come tutto questo possa essersi determinato gradualmente, a mano a mano che la società islamica andava perdendo quella supremazia culturale, scientifica ed artistica che per molti secoli l’aveva caratterizzata.
Inizierò dunque riportando una affermazione lapidaria di Qassim Amin citata nel suo celeberrimo libro - Tahrir al-mar’a - pubblicato nel lontano 1899. Affermazione che io oggi, come psicanalista, pur con certe attenuanti e limitazioni, mi sento però di confermare:“ L’uomo adulto, altro non è che ciò che la madre ne ha fatto nell’infanzia.”Prendendo tale asserzione alla lettera, sarebbero dunque proprio le donne musulmane, in quanto madri, a fare dei loro figli quegli uomini repressi e insicuri che, paradossalmente, scaricheranno poi le loro patologie appunto sulle donne, in una dinamis circolare di cui – come ho già detto - sarebbe vano oramai cercare l’origine o la fine.
Ciò nonostante, e anche se con una certa approssimazione, si potrebbe asserire che il processo si sia innescato nel momento storico in cui la società islamica cominciò a regredire dai fasti che aveva raggiunto, e il peggioramento delle condizioni economiche, culturali e religiose, come per una sorta di osmosi naturale, finì per traslare dagli uomini alle donne. Donne che, soggette ad un dominio sempre più forte da parte di uomini sempre più frustrati, ignoranti e inconcludenti, si indebolirono, favorendo cosi l’esercizio della tutela su se stesse(9). Magari nel nome di una religione che nessuno era più in grado di ben interpretare, esse accettarono tacitamente di essere sempre più rinchiuse all’interno della casa, sorvegliate e protette, limitate nella propria libertà. Poi però, come per una sorta di perversa, inconscia compensazione, finirono per proiettare sui figli maschi la propria mancata realizzazione personale. Allevandoli come Principi Ereditari a cui qualunque capriccio sarebbe stato concesso. Crescendoli come despoti presuntuosi ed arroganti a cui qualunque donna, in futuro, si sarebbe dovuta sottomettere(10).
Anche se da noi, in occidente, il fenomeno si presenta sotto forme molto più attenuate, tuttavia è ben conosciuto: madri non realizzate come donne, mancanti di una propria autonoma personalità, che allevano i propri figli maschi confermando la loro alterigia, la loro supremazia, la loro naturale arroganza maschile. Donne i cui figli maschi rimarranno eterni bambini, viziati, capricciosi, presuntuosi, sfrontati, violenti… e sessualmente repressi.“La madre con il velo. – intuisce la scrittrice C. Djavann(11) – Il velo che ha l’odore della madre. La madre vietata. Il velo che la madre porta su di sé. Il velo che ha l’odore del peccato, l’odore della madre vietata. La madre oggetto del desiderio, il desiderio colpevole, represso dalle leggi ancestrali. […] La forza viscerale del legame madre-figlio, questo legame di cui il velo materno è stato il tramite durante la prima infanzia e che proietta la sua ombra (l’ombra del proibito, dell’incesto e del desiderio) sulla donna agognata. Il velo che nasconde la donna è tanto detestato quanto desiderato dall’uomo musulmano. [...] La pressione dei divieti non rafforza la pulsione dello sguardo? Il velo ricorda uno dei divieti principali dell’Islam, il corpo femminile. Ciò che si nasconde agli sguardi non fa che attizzare gli sguardi. […] Impossibile ignorare gli sguardi insistenti, importuni, degli uomini nei paesi musulmani. Lo sguardo lascivo, lo sguardo illecito, lo sguardo in agguato, lo sguardo che penetra il velo. E le ragazze rimproverate, perché, malgrado il loro velo, il loro corpo coperto, hanno attirato gli sguardi illeciti. Il timore dello sguardo e dei pericoli che nasconde è inculcato dalle madri alle figlie. Dallo loro più tenera età, le ragazzine interiorizzano l’idea che la loro esistenza è una minaccia per il ragazzo e per l’uomo; che, alla vista di un pezzo della loro pelle o della loro chioma, questi ultimi possono perdere ogni controllo di sé. Le madri, negli ambienti più tradizionali, continuano a riprodurre gli stessi dogmi trasmessi di generazione in generazione.”Ho voluto riportare questo brano della scrittrice iraniana quasi per intero, perché ritengo che contenga una delle sintesi più lucide della perversa spirale psico-dinamica in cui l’Islam è caduto, oramai da moltissimo tempo. Manca solo più un elemento, della cui assenza però la scrittrice non è certo imputabile, non essendo in definitiva una addetta ai lavori. Quello che manca è di ravvisare in questa dinamica anche la radice ultima di quella drammatica spaccatura psichica, tipica dell’uomo, per cui se da una parte c’è la Madre, come immagine del Femminile casto, puro e virginale, dall’altra ci sono tutte le altre Donne, ma come immagine del Femminile lascivo, impuro e peccaminoso. Il Femminile Originario, compagno di piacere e di resurrezione mistica, si scinde così, anche per l’uomo musulmano, nella Madre Vergine Santa e nella Grande Prostituta, né più né meno come per il cattolico, tradizionale o moderno che sia.
Per questo negli stati islamici gli sguardi sono illeciti, lascivi, in agguato: perché l’impulso non è stato educato bensì represso. E la sua forza, immensa, permane nell’inconscio e si dirige verso tutte “quelle puttane” che osano risvegliarlo, adularlo e tormentarlo senza tuttavia esaudirlo. Per questo non è raro che in alcuni tra i paesi islamici più intransigenti, in caso di violenza e stupro di giovani donne, siano poi le vittime ad essere punite con la lapidazione mentre gli aggressori se la possano sempre cavare con qualche “bacchettata” sulle mani.
Raramente ho trattato nel mio studio casi di così grave repressione e frustrazione sessuale quanto quella di cui fanno invece bella mostra buona parte dei maomettani, ancorché moderni e liberali, e di cui i Talebani afgani – per assurdo - rappresentano solo l’espressione più coerente. L’altra, quella più in mala fede e vergognosa, è rappresentata dal comportamento consueto degli sceicchi sauditi o dai rampolli delle famiglie saudite più abbienti: in Arabia, infatti, le donne vivono sepolte in casa ad allevare figli, senza avere nemmeno il permesso di uscire se non accompagnate da un uomo. Ma da Parigi giungono continuamente voli diretti, pieni di prostitute di “altissimo bordo”, il cui compito è quello di sollazzare e soddisfare i desideri insaziabili di questi fedeli fanatici(12).
Come si può credere o sperare che chissà quali alti dirigenti musulmani potranno mai sconfessare (nel senso letterale della parola) la turpe incoerenza dei maggiori rappresentanti del popolo nella cui anima Allah scelse di rivelarsi e sul cui territorio, alla Mecca, scelse di edificare la propria dimora? Sarebbe come se qualcuno, da noi, trovasse il coraggio di denunciare l’omosessualità e la pedofilia che imperversano nei corridoi della Santa Sede della Santa Romana Chiesa Cattolica ed Apostolica.
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Alcuni giorni fa, mentre scrivevo questo capitolo, ho seguito un impulso: ho acceso Internet, tra i miei “Preferiti” ho cercato “candy camera sexy” e ci ho cliccato sopra. Sono comparse più serie di filmati ripresi di nascosto in cui giovani ed attraenti modelle, dopo aver “adescato” un uomo in una situazione qualsiasi, magari per far partire un motorino ingolfato, all’improvviso, come per un incidente, si ritrovano a perdere la camicetta o la gonna e a rimanere a seno scoperto o in mutandine. Bene! Un esame attento, al rallentatore, della gestualità e della mimica facciale degli uomini che ci cascano, rivela prima lo stupore, poi subito dopo l’imbarazzo e lo spasmo atroce di quel desiderio di cui prima ho parlato. L’incanto del “nudo di donna” per un nano secondo prende il sopravvento e sconquassa. Poi ancora, quasi sempre, arriva la risata liberatoria attraverso la quale, inconsciamente, si scarica il surplus energetico prodotto. Adoro guardare questi filmati. Quello che mi commuove, davvero, sono gli uomini. Dalle statistiche risulta che non sono quasi mai occorse violenze di alcun tipo contro le giovani attrici. Proprio perché la maggior parte degli uomini occidentali, almeno da questo punto di vista, sono uomini, con la U maiuscola, e hanno imparato perciò a controllare i loro impulsi. In un qualunque paese musulmano nessun filmato del genere potrebbe mai essere girato: l’attrice sarebbe come minimo violentata e subito dopo - perché no? - lapidata per aver osato turbare la falsa morale di tutti quei bambini fanatici, arroganti, ipocriti e presuntuosi che lo abitano.
Mi sono chiesto a lungo se fosse legittimo, da parte mia, diagnosticare una simile “patologia culturale”. Mi sono chiesto se non stessi commettendo lo stesso identico errore di quanti si permettono di giudicare determinati usi o costumi di altre culture usando i parametri validi solo nella propria. Ma alla fine mi sono assolto. Non solo perché mi sono sforzato di “ripensare” pensieri che già esponenti alla stessa cultura islamica avevano pensato. Ma, soprattutto, perché credo che nessun elemento - sia esso culturale, politico, economico o religioso - possa ancora giustificare il sopruso dell’uomo sull’uomo. E, ancora, perché sono convinto che le dinamiche archetipiche – se attentamente separate dalla loro componente storica - abbiano un valore collettivo universale.
Mi permetto perciò di sostenere che l’onore di una persona, chiunque essa sia, riposi nella dignità del proprio vissuto e non può essere proiettato o attribuito ad altri che se ne facciano garanti. L’onore di un uomo dipende dalla sua stessa rettitudine, dalla sua stessa moralità e dalla sua stessa integrità interiore. Dipende dal coraggio con cui affronta le difficoltà della vita, dall’onestà che caratterizza le sue scelte e dalla autenticità con cui vive. Se anche una donna della sua famiglia si comportasse come una poco di buono, se – addirittura – decidesse di prostituirsi, essa denuncerebbe la propria immoralità, la propria scelleratezza che, tuttavia, nulla toglierebbero alla moralità del padre, del fratello, del marito o del figlio. Che avrebbero ragione di addolorarsi per il comportamento della donna, ma non di ritenersene disonorati.
So bene quanto radicato possa essere questo falso convincimento, le cui radici ancestrali inquinano tutte le religioni monoteiste patriarcali (e non solo l’Islam). Più che semplice tracce se ne possono rinvenire anche nella nostra tanto decantata società civile, come testimonianza del maschilismo patriarcale di cui ancora è impregnata. Ciò nonostante tale convincimento va denunciato ed estirpato dall’animo umano perché espressione di una indifferenziazione psicologica che contraddice la distinzione sacra tra individuo ed individuo. Va condannato per quello che è nella sua ultima essenza: la negazione della Alterità e della Libertà, che su questa si fonda.
Così come vanno smascherate la paura, l’inquietudine e il dubbio che tormentano tutti quegli uomini che sentono la necessità di controllare, limitare e segregare la propria donna, rivelandone la radice unica: che non è altro se non una inconfessata e inconfessabile, vergognosa insicurezza di sé.
Tuttavia, dietro il comportamento paradossale di molti maomettani - sessuofobico da una parte e maniacale dall’altro – si nasconde ben altro. Perché la repressione dell’impulso sessuale, come antitesi alla sua educazione, genera solo patologie nell’essere umano qualunque sia la sua estrazione culturale o la religione alla quale appartiene. Si possono studiare le dinamiche che le producono e parzialmente giustificarle: ma come tali non possono essere avallate, né più né meno di come la comprensione delle ferite psichiche subite dai pedofili durante il proprio sviluppo non possa per questo avallare la loro successiva violenza sui minori.
E poi ancora: la schiavitù, di qualunque tipo, è un sopruso che come tale va condannato.
L’amore è un dono. Sempre! Ci piaccia o meno… l’amore è un dono! L’amore è un regalo gratuito che qualcun altro ci fa in piena autonomia emotiva. Occorre meritarlo. Non può essere preteso con la forza, ne tanto meno difeso togliendo all’altro la propria libertà. Pena la perdita di ciò che fa dell’amore appunto l’amore. E solo la libera reciprocità amorosa, quale che sia la sua natura, giustifica l’accoppiamento dell’uomo e della donna.
Nel passato come nel presente.
Tutto il resto sarà sempre e soltanto stupro… o comunque violenza.
Sono molto addolorato di dover scrivere queste cose, e non ne faccio una colpa specifica a nessuno. Ho viaggiato per 15 anni nel Nord Africa e nel Medio Oriente, e ho conosciuto musulmani con cui ho avuto scambi davvero toccanti. Con alcuni di loro, parlare di fede, è stata una esperienza umana intensa, profonda e commovente. Eppure, spesso, anche se non sempre, dentro di me c’era una attenzione angosciosa, una sorta di vigilanza latente, perché, se ero con la mia donna, non sapevo mai cosa sarebbe potuto accadere se un lembo della sua pelle si fosse improvvisamente scoperto.
Scrivo con dolore queste parole, e in più con la consapevolezza che nel mio mondo, forse a causa di una violenta reazione al violento condizionamento delle coscienze operato dalla chiesa cattolica, i problemi tra uomini e donne sono speculari ed opposti a quelli presenti nell’Islam. Perdita di qualunque pudore, prostituzione facile in cambio di fama e notorietà, sesso superficiale come espressione narcisistica di potere o di affermazione di sé. Bisogna ammetterlo: anche noi occidentali non stiamo poi tanto bene.
Un segreto si cela nella potenza dell’amore sessuale umano e, forse per paura di questo mistero, tutti ne fuggono: nella repressione alcuni e nella sua banalizzazione altri.
Ma certo è che se nessuno, fin’ora, sembrerebbe aver realizzato quel giusto atteggiamento interiore che permetterebbe a uomini e donne di vivere l’amore sessuale come una autentica esperienza di reintegrazione spirituale, il cammino che separa oggi il mondo islamico da questo ipotetico traguardo sarà ben più lungo e tormentato del nostro.
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1) Michael Cook Il Corano Ed. Einaudi Torino 2001
2) Ghaleb Bencheikh Che cos’è l’Islam? Ed. Mondadori Milano 2002
3) Abdelwahab Meddeb La malattia dell’Islam Ed. Boringhieri Torino 2003
4) J. Evola La metafisica del sesso Ed. Mediterranee Roma 1975
5) Salwa Al-Neimi La prova del miele Ed. Feltrinelli Milano 2008
6) Fatema Mernissi L’Harem e l’occidente Ed. Giunti Firenze 2000
7) Abdelwahab Meddeb Ibidem pag. 119
8) Chahdortt Djavann Giù i veli Ed.Lindau Torino 2004
9) Leila Ahmed Oltre il velo La nuova Italia Firenze 1995
10) Rita El Khayat La donna nel mondo arabo Ed. Jaca Book Milano 1983
11) Chahdortt Djavann Ibidem pag. 18 – 19
12) Jean P. Sasson Dietro il velo Ed.Sperling & K. Milano 2004
13) Carmen Bin Laden Il velo strappato Ed. Piemme Milano 2004
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